PROGETTO SPECIALE – PROCESSI E TECNICHE PER LO SPETTACOLO MULTIMEDIALE
Prof. Daniele Paolin
ACCADEMIA DI BRERA – SCUOLA DI NUOVE TECNOLOGIE DELL’ARTE
12 installazioni performative multimediali liberamente tratte da “Oscar e la dama rosa” di Eric Emmanuel Schmitt in collaborazione con MACAO
Oscar Story
Éric-Emmanuel Schmitt – Ciclo dell’invisibile – Oscar e la Dama Rosa, testo teatrale.
Da qui si parte per un viaggio fra le lettere che Oscar, leucemico di dieci anni, scrive a Dio, nel quale inizialmente non crede. La Dama Rosa, un’assistente volontaria a lui più vicina, lo convince del contrario. Il mondo descritto da queste lettere viene messo a confronto con la dura realtà degli ultimi dodici giorni della sua vita. Ma questi dodici giorni diventeranno 120 anni, proprio grazie a Rosa (“una leggenda, dice che, negli ultimi dodici giorni dell’anno, si può indovinare che tempo farà nei dodici mesi dell’anno che viene. La leggenda dei dodici giorni divinatori, tu immagina di vivere ogni giorno come se vivessi dieci anni”).
Poi Oscar scrive: “…credo che sto cominciando a morire”…
Dodici giorni, una vita intera.
Messo nelle mani di giovani studenti del Biennio di Specializzazione di Nuove tecnologie dell’Arte, e quindi nell’analisi artistica contemporanea (e forse futura), il testo introduce ad interrogativi profondi, individuali e sociali, estetici e scientifici al tempo stesso. La nascita, il tempo e la sua percezione, la sua accelerazione ed il suo uso, il corpo, la malattia, la scienza, la condizione comunicativa del malato, la memoria, il mondo esterno, l’esistente e l’inesistente, la labilità temporale degli attimi, il buio, il silenzio, il vuoto.
La volontà di tradurre tutto in un grande affresco, o forse un mosaico di frammenti, emerge immediatamente. Essenziale non appare più la storia, ma il significante dei suoi frammenti, sparsi, anche non in maniera lineare.
12 giorni, 120 anni, 120 minuti, 12 anni, 12 minuti: vivere la quantità che ci è concessa. Ma la qualità risulta decisamente importante.
Per gli antichi greci c’erano almeno tre modi di indicare il tempo: aion, kronos e kairos. Aion rappresenta l’eternità, l’intera durata della vita, l’evo; è il divino principio creatore, eterno, immoto e inesauribile; kronos indica il tempo nelle sue dimensioni di passato presente e futuro, lo scorrere delle ore; kairos indica il tempo opportuno, la buona occasione, il momento propizio, con una certa approssimazione, quello che noi oggi definiremmo il tempo debito.
Lo spreco diventa un abominio, lo spreco del tempo, sia esso inteso come aion, kronos o kairos, diventa un pensiero che nei malati terminali ha un portata straordinaria. Anche il corpo, la sua cultura, la degenerazione di ogni sua parte, pur minima, diventano importanti: cervelli che vivono anche senza un corpo o corpi che vivono anche senza un cervello, paradosso della società contemporanea. Il rapporto con la malattia, con l’indagine diagnostica, con la variazione dei dati chimici ed elettrici, con la loro valutazione ed interpretazione. Il progresso scientifico, la longevità da un lato e i fulminei decessi dovuti a metastasi inarrestabili dall’altro. Morte come “memoria del proprio limite” e, direi, limite della propria memoria. É un processo che, con le parole di una pubblicazione di Marina Sozzi, porta a “ripensare la morte per cambiare la vita”. La morte, concetto sempre più lontano o tenuto lontano dal progresso scientifico, oggi sembra essere stata sterilizzata: gli ammalati finiscono negli ospedali e i vecchi negli ospizi. Spinoza d’altronde sostiene che l’uomo libero non pensa alla morte, ma alla vita. Un processo tipico dei nostri giorni: non si accetta che la medicina possa fallire, quindi si denunciano i medici che si ritengono colpevoli di incapacità e si passa al guru o direttamente alle mani di Dio, per chi crede. Una serie di frasi di Oscar testimoniano invece questa realtà vista con gli occhi disincantati di un bambino (“Dusseldorf [il dottore che lo cura – n.d.r.] ha la faccia dispiaciuta di un Babbo Natale che non ha più regali nel sacco…Se dici “morire” in un ospedale, nessuno sente. Puoi star certo che ci sarà un vuoto d’aria e che si parlerà di qualcos’altro…qui fanno come se uno venisse all’ospedale solo per guarire. Mentre uno ci viene anche per morire…). Al decadimento fisico, o per vecchiaia o per malattia, spesso si accompagna la perdita di relazioni umane e quindi il problema diventa come garantire una buona vita finché è davvero tale, senza prolungarla artificialmente quando si è esaurita.
Nuove tecnologie per la scienza, nuove tecnologie per l’arte.
Questa la base: “…avevo l’impressione che mi prendessi per mano e mi portassi nel cuore del mistero a contemplare il mistero…”.
I 12 giorni, una vita, hanno la possibilità di diventare 12 istallazioni in una esibizione, più che una mostra. 12 tappe, 12 pensieri, 12 frammenti, una storia, un’esistenza.
0 – (+1 -1)
Tempo e vita: la rete e le scienze matematiche simulative ci aiutano ad avere una precisa percezione della grande vibrazione del mondo in cui in ogni istante si vive e si muore in una sorta di contabilità spietata ed infinita…
1 – (emergere)
Anche l’esposizione ha una propria vita e quindi una sua storia: l’entrata diventa una nascita, un ingresso in un mondo dodecafonico o dodecaedrico, proprio perché “nascere è cadere nel tempo” come qualcuno ha scritto; ci si introduce in una serie di brevi pensieri, di intuizioni e sensazioni: non oggetti visivi, ma stati mentali, come Kandinskij amava dire. Questa esistenza esibita ha una sua sonorità, esattamente come il perpetuo suono del mondo, un suo impenetrabile echeggiare (in realtà una libera elaborazione di un brano che Oscar ama e ascolta spesso: la danza dei fiocchi di neve dello Schiaccianoci di Tchaikovsky). Ed ogni pensiero elettronico ha, a sua volta, una sua vitalità che può essere resa difficoltosa da virus, malattie, malfunzionamenti, errori, o… bugs, come vengono chiamati. Decisamente convinti che nessuno (e nessuna istallazione) sia perfetto…
2 – (tempo sequenziale)
Kronos. Aperto questo diaframma biologico, che superiamo magicamente osservandoci nell’atto di uscire da una placenta digitale, lo spazio si apre in alto su un’immagine simbolica dei processi del tempo: un’accelerazione rallentata, ossimoro quanto mai calzante sullo scorrere del tempo e sulla “semiotica biologica” che ne sottolinea la metamorfosi in un volto. L’impercettibile scorrere dei frames rende il tempo percepito quasi non percepibile: una meraviglia che può soltanto essere digitale. (da un video di Anthony Cerniello)
3 – (cenestesi)
Condizione instabile…Malattia e diagnostica: le immagini digitali aiutano, asettiche e chiare, ad entrare nei meandri del nostro corpo, meandri mai visti, in un viaggio altrimenti impossibile, affascinante. Sono immagini che, se non implicassero qualche tipo di ansia data dai possibili responsi, potrebbero iniziarci a paesaggi inattesi, quasi fossero altri mondi. Micro e macro assumono le stesse valenze in un inedito gioco di sproporzioni chiaroscurali. La macchina è nuda, quasi scarnificata dal suo incerto involucro, unica entità che ad occhio nudo possiamo vedere e che forse ci consola.
4 – (FBO – faceboscar)
Uno stato di separazione dal mondo, l’isolamento, la solitudine che si accompagna alla patologia, presuppone la ricerca di comunicazione con “l’altrove” che forse continuiamo a ricercare anche quando le condizioni non sono così estreme. Le lettere di Oscar hanno un interlocutore universale, quasi fossero dei messaggi lanciati nell’etere in bottiglie numeriche destinate a spiagge informatiche che si immaginano o si sperano affollate, esattamente come succede nel social network. Il post, però, può non raggiungere una meta, ma vagare, inascoltato, in una rete affollatamente vuota.
5 – (deframmentazione mnemonica)
“Diventerai una discarica di vecchi pensieri che puzzano, se non parli…” è la frase che Rosa, la dama, dice ad un Oscar silenzioso. Anche i ricordi, le memorie, si ammalano, si ammonticchiano, si sovrappongono e possono spegnersi nella nebbia indotta del tempo (e dello spazio). Ricordi affidati ad incerti archivi di silicio che sempre meno software, che ora crediamo onnipotenti, sapranno leggere in futuro o che saranno destinate a deteriorarsi nella loro biologica labilità.
6 – (swing o pendolaltalena)
Kairos. Altalena come pendolo o pendolo-altalena, come metronomo di un tempo qualitativamente rubato. L’età più preziosa, quella dell’infanzia, fucina di sperimentazione e di ricerca, viene sempre più invasa e fagocitata da modelli assurdamente sudici, lordi come sono di una indecenza adulta, esageratamente volgare e sfrontata: viene tolta a forza, quella della persuasione occulta e meschina, ogni aspirazione ad un’infanzia assaporata continuativamente, complice il mondo mediocre dell’ostentazione al consumo, non escluso quello del tempo.
7 – (pausa)
Oscar: “…e mi sembrava un film al rallentatore, l’aria diventava più densa, il silenzio più silenzioso, io camminavo come stessi nell’acqua e tutto cambiava man mano che mi avvicinavo al suo letto illuminato da una luce che non veniva da nessuna parte…”.Il buio ristoratore ed il silenzio consolatore allontanano per un momento il vorace desiderio di guardare e ascoltare. Una pausa nel vuoto. Anche la musica più sublime non vive soltanto di note, veloci o lente che siano, ma anche di pause che hanno gli stessi valori ritmici, la stessa coloritura melodica. Ma il vuoto, il silenzio, il buio percepiti, possono essere persino densi di splendidi scotomi e di interessanti acufeni: è sufficiente essere capaci di ascoltarli, lontani dall’ansia…
8 – (5 instabilità)
Aion: stabilità. Da ogni sfera si invoca. Ma sappiamo ormai da centinaia di anni che nulla è stabile, nemmeno la terra. Quella terra madre che nutre, alimenta e riscalda; accoglie anche i nostri resti e li trasforma in vita, ma che sa anche rivoltarsi alle continue offese di cui è vittima: il moto stesso è segno di vita. Coltivare, bonificare, dissodare sono verbi che colgono il movimento della terra, lo esaltano ed il timore allora si dissolve, diventa fascino persino l’instabilità, l’incertezza su cui poggiamo i piedi e le nostre deboli sicurezze.
9 – (O.R.A. – Oscar Realtà Aumentata)
La lettura di codici diagnostici, l’interpretazione di dati numerici, la decodificazione di segnali visivi aprono le porte ad una realtà “altra”, una dimensione estranea in cui concretezza e sogno si mescolano in un “aumento” di particolari che si ancorano a segnali specifici. É il mondo incantato che vedono gli occhi di un bambino alle prese con strumenti di cui ignora il funzionamento ma che gli propongono un realismo diverso, onirico e presente al tempo stesso in una sorta di videogame. “…guarda ogni giorno il mondo come fosse la prima volta…” è una frase di Oscar.
10 – (…i figli divorano crono…)
Il tempo (crono, saturno) divora i suoi figli, nei meandri della mitologia. Ma nella nostra civiltà contagiata dalla rapidità, con ogni probabilità siamo noi i figli che divorano il tempo. Questa voracità non permette di “assaporare”, di centellinare i momenti di esistenza comunque preziosi, in una continua rumorosa ruminazione che porta ancora una volta al consumo, rito al tempo stesso collettivo e privato, a qualsiasi età. Tempo che nel malato, nel figlio più debole, diventa pregiato. (Oscar: “… ci siamo raccontati le nostre vite…”)
11 – (sequenza esistenziale)
Dal testo: “E’ una pianta del deserto del Sahara che vive tutta la sua vita in un giorno solo. Appena il seme riceve dell’acqua lei germoglia, gli spuntano le foglie, fa un fiore, fabbrica dei semi, li sparge, poi appassisce, diventa piccolo, piccolo, e hop, la sera è finito. La vita in un giorno, non dodici, neppure dodici anni e nemmeno 120. Terra, acqua e…un giorno: per vivere e per morire.
12 – (in vitro)
“…Si è spento stamattina. L’ha fatto senza di noi, come se volesse risparmiarci…” Questa la fine di un racconto che non c’è, esattamente come la famosa isola. Ma la tecnologia contemporanea ha modo di tenerlo in vita, quasi “in vitro”, ancora una volta in un gioco che si può rivelare esistenziale ed effimero al tempo stesso.