Aprendo il solito quotidiano, in treno il 27 Gennaio scorso, mi si affaccia una dolorosa notizia:”Addio allo scenografo Lele Luzzati”. La giornata non poteva cominciare peggio.
Conoscevo Lele fin dai primi anni ’80, quando lui era prossimo alla sessantina ed io ne avevo appena superato la metà. A quel tempo ero uno degli scenografi realizzatori de “La Bottega Veneziana”, atelier che spesso realizzava allestimenti per il Teatro Regio di Torino. L’opera da realizzare era “Dibbuk” di Ludovico Rocca (da una storia ebraica) e Lele ne era lo scenografo. I miei ricordi si fanno tenui (sono passati più di 25 anni), ma il ricordo di quella splendida figura è ancora assai vivo.
Lele era una persona semplice, gentile in tutte le cose che faceva, ma soprattutto nell’aspetto e nei modi. Mi ricordo che mi colpì molto, quando lo conobbi, il suo abbigliamento: portava vecchi occhiali rotondi che gli cerchiavano i piccoli occhi, a fessura, su una faccia aperta e “antica”, in un atteggiamento di continuo sorriso, che peraltro era continuamente ricorrente nel suo modo di fare; la sua giacca di velluto, con le toppe di pelle, era segnata dal tempo e copriva un semplice maglione che lasciava spuntare il colletto di una umile camicia a quadri scozzesi (di quelle che vediamo portare, in generale, a semplici operai o montanari…); ma soprattutto le scarpe ricordo: un vecchio e robusto modello, fané, ma dignitoso e tenuto talmente lucido ed ingrassato da nascondere perfettamente la molta strada percorsa.
Era l’esatto contrario dello scenografo istrione, un po’ capriccioso, difficile ed ostinato: era accomodante, mentalmente elastico, comprensivo e ad ogni imprevisto o difficoltà aveva sempre una buona parola ed un consiglio adatto.
Ho avuto modo di entrare nel suo mondo grafico e nella sua opera in maniera analitica, dovendo io dipingere su enormi fondali ogni suo segno, ogni sua campitura, ogni suo pezzo di collage che diventava materia, composizione, elemento indispensabile al racconto: già, perché lui amava raccontare (amava dire:«Perché la memoria è una cosa fredda, il racconto invece è caldo: è tutta la vita che racconto, io che sono così avaro di parole»). Dagli anni ’80 in poi, ho avuto modo di fare assieme a lui, altri, numerosi lavori, ogni volta felice, io, di rincontrare uno splendido personaggio com’era Lele. L’ultima volta che l’ho visto è stato in occasione di uno spettacolo (L’enfant et le sortilége di Ravel) che si sarebbe dovuto mettere in scena alla Fenice di Venezia nel Marzo 1996, alla riapertura del teatro dopo i restauri…Non avrei più rivisto nè La Fenice (rogo del Gennaio 1996), nè lui. Addio carissimo Lele, hai lasciato in tutti noi un bellissimo ricordo…
dp