Scenografia: che cosa è il vero, la realtà, il reale e che cosa è il falso, la simulazione, il finto, l’evocato?
In teatro il falso trasmette il vero?!
Damiani: “ A volte è necessario si possa cogliere che tutto è finto ma, in altri casi, è altrettanto necessario che, nella somma degli elementi di uno spettacolo, si dia la sensazione di una realtà. Se voglio mettere in scena una putrella di ferro, cercherò di rendere quella putrella il più possibile credibile da un punto di vista teatrale; ciò significa che quell’oggetto non è la riproduzione dell’elemento reale, ma ha in sé quella teatralità, cioè quella “capacità” di comunicazione, quei dettagli che devono far giungere fino allo spettatore – collocato ad una certa distanza – quello che io desidero e che l’elemento reale non possiede, perché viene utilizzato per un altro fine.
…non avendo studiato scenografia All’accademia ho fatto una ricerca personale, che mi ha portato a scoprire determinate cose, soprattutto che progettare con i “raggi visuali” era sì un’enorme fatica, un enorme impegno, ma significava anche avere la certezza di ciò che progettavo in sede di bozzetto. E’ un esercizio che mi ha fatto acquisire un certo tipo di sicurezza: progettare invece di realizzare. In teatro si può realizzare tutto, ma il rapporto tra figura umana e oggetto esige una cura speciale, perché dev’essere parte di un’armonia precisa. Per fare ciò, è necessario conoscere il volume, il “peso” delle cose. Tutto il mio lavoro viene progettato a tavolino, e tutto, oggetto dopo oggetto, viene studiato nel suo rapporto con l’attore. Ciò significa calcolare: e bisogna dire che questo calcolare con i raggi visuali è cosa abbastanza rara; ma in tal modo, si mette un regista nelle condizioni di guardare al bozzetto come alla “fotografia” della realizzazione. Il rapporto uomo – oggetto è fondamentale, e serve ad evitare quel sovradimensionamento delle scene che, spesso, crea un elemento di disturbo. Perché non dovrebbe sfuggire che, all’interno di un testo musicale o poetico, ci sono delle proporzioni che non si possono ignorare, c’è un meccanismo scritto al quale non si può sfuggire: si può variare, reinventare, ma non stravolgere. L’opera è scritta in un certo modo, e in un certo modo deve essere rappresentata.
Credo che il desiderio di alcuni scenografi sia quello di esibire la propria capacità, la propria fantasia creativa, e cioè di non rimanere in una posizione subalterna – come io ritengo invece sia giusto – rispetto al testo ed alla musica. Costruire scene vuol dire mettersi al servizio di un testo, poetico o musicale. Se si vuole diventare protagonisti, si realizzano costruzioni enormi soltanto per il gusto del “meraviglioso”, di ciò che può stupire il pubblico: e un certo pubblico cade facilmente nel “tranello”, si lascia affascinare da questo meraviglioso”.
(Teatro 3? Rassegna trimestrale teatrale diretta da Bartolucci – Capriolo – Fadini. )
(Fratelli Cafieri Editori 1968)
Parigi 27 Aprile 1968. Peter Brook, direttore della Royal Shakespeare Company dichiara: “C’è una cosa che mi ha sempre stupito: nulla al mondo evolve con tanta lentezza quanto il teatro”. ”Il problema meno risolto a teatro è quello del luogo, vale a dire il contatto tra attore e pubblico. Ma mancano a tutt’oggi gli edifici teatrali che a questo problema offrano una soluzione concreta e immediatamente attuabile e concedano al regista la massima libertà di mezzi per la creazione dello spazio necessario ad ogni suo spettacolo, che può anche essere il quadro scenico tradizionale ma deve poter essere tante altre cose”.
Teatro tradizionale: due spazi separati; una scatola (il palcoscenico) chiusa tre lati su quattro, bloccata anche sull’unico lato aperto e facendo sì, quindi, che la quarta parete non sia sempre e soltanto illusoria; l’altro (per il pubblico) un luogo di ricevimento, d’incontro, di meditazione, di ascolto, di visione e, di svago ?
Unico intermediario fra i due luoghi: i sensi quindi. Lo stesso rapporto per Eschilo, Feydeau, Shakespeare, Brecht, Verdi, l’Opera di Pechino, la Comédie – Française, il Berliner Ensemble, Rossini, il Living Theatre.
Damiani progetta gli impianti tecnici e di scena del Teatro Nuovo di Trieste progettato dagli architetti Umberto Nordio e Aldo Cervi, un edificio destinato ad accogliere, col teatro, il Consiglio Regionale, congressi ed altro.
Damiani progetta gli impianti scenotecnici in un ambiente già impostato architettonicamente con criteri tradizionali: pianta a campana, palcoscenico con boccascena, e sala con galleria. Questi elementi – tranne la galleria che ritiene incompatibile con qualsiasi discorso di teatro contemporaneo – gli hanno fornito una sorta di stimolo, invitandolo a giocargli contro.
Ne è uscito un teatro anche tradizionale, ma che contiene una serie di accorgimenti (presenza dei tiri in sala, platea e palcoscenico alzabili e abbassabili a diversi livelli, soppressione del muro che impedisce il collegamento diretto tra attori e spettatori) che possono offrire al regista l’occasione di compiere tutta una serie di esperienze stimolanti. Damiani offre soprattutto uno spazio plasmabile dalla fantasia del regista secondo le esigenze dei singoli spettacoli compreso quello tradizionale.
A questo risultato egli arriva attraverso una serie di esperienze teatrali che hanno maturato in lui una ribellione contro il palcoscenico chiuso, inscatolato, un desiderio di varcarne i limiti, di farlo esplodere e di mettere in discussione tutto un modo “pigro” di fare teatro. Nelle sue scenografie tenta costantemente di “evocare degli spazi, dei fatti poetici, dei suggerimenti contenuti in cose che non si percepiscono nella loro totalità”. Non un ambiente da decorare ma uno spazio da organizzare.
Lasciando in vita anche la struttura tradizionale, ma proponendo questa nuova organizzazione degli spazi, vengono offerte all’uomo di teatro possibilità di comparazione, di esperimento, di controllo e di esprimere in piena libertà le proprie idee. Offre, in altre parole, non soluzioni prestabilite, ma uno strumento di lavoro.
E’ evidente che il passaggio da un riquadro da ammobiliare a uno spazio da organizzare pone grossi problemi, in parte risolvibili solo sperimentalmente attraverso una serie di tentativi. C’è un problema fonetico che può essere affrontato anche senza ricorrere a mezzi meccanici di amplificazione; c’è un problema di illuminazione, imposto dalla necessità di avvolgere in un tutto unico sia il pubblico sia il palcoscenico; c’è la possibilità di riportare il piano di palcoscenico al livello della platea tornando così alla forma del “teatro di sala”, e di disporre il pubblico secondo le norme consuete della visibilità ma anche di proporre soluzioni diverse, invitandolo per esempio non a guardare avanti ma a volgersi in altre direzioni potendo disporre le poltrone in gruppi asimmetrici.
«Chi lavora in un grande Teatro d’opera oggi, agisce in uno spazio e con una “macchina” concepita più di duecentocinquant’anni fa. Il regista e lo scenografo, con le loro messinscene, creano varianti al vecchio tema e tentano di forzare la macchina teatrale che, con il passare del tempo, è diventati sempre più chiusa e, quanto più si è arricchita di mezzi, tanto minor spazio è rimasto alla fantasia e alla libertà creativa.
Per la messa in scena oagi occorre che lo strumento teatro sia flessibile e la tecnica moderna deve portare innovazioni che contribuiscano nel modo più ampio possibile alla libertà delle scelte.
Il palcoscenico rialzato, il prospetto scenico, il sipario, la fossa dell’orchestra e la sala sono gli elementi che costituiscono lo schema del Teatro d’opera. In un Teatro ove la componente dominante è la musica, la fossa d’orchestra (con tutti i suoi annessi) è elemento essenziale, e con essa tutto quando riguarda l’acustica. E’ quindi alla fossa d’orchestra che va la prima attenzione, sia nelle varianti piccola o grande (orchestra verdiana, mozartiana ecc.), sia in rapporto all’avanscena, nel caso si voglia portare lo spettacolo verso la platea, per un contatto ravvicinato cantanti – orchestra (occorre allora prolungare l’avanscena coprendo a mensola parte dell’orchestra). Tale soluzione in genere crea problemi in orchestra e in palcoscenico difficoltà per il sipario di ferro antincendio; spesso le difficoltà aumentano per la mancanza di tiri in avanscena.
Seconda per importanza è la visibilità dalla sala e altrettanto importante è la visibilità (non cosi facile da ottenere come parrebbe) dei cantanti e delle masse corali per il direttore d’orchestra, e viceversa. Il regista e lo scenografo hanno un punto ideale, in platea, da dove osservano e controllano lo spettacolo. Questo punto si trova generalmente in mezzo alla platea, a una distanza dal quadro scenico pari alla larghezza del boccascena. Raramente regista e scenografo si preoccupano di cosa può vedere lo spettatore posto in alto sul fondo dietro di loro, o lungo le pareti laterali. La ragione è che non esistono mezzi per poter intervenire a migliorare la visibilità, se non quello di ridurre tutto lo spettacolo nei pochi metri dell’avanscena. Bisogna tenere conto del fatto che il quadro scenico consente la visibilità solo frontale, e a un’altezza superiore di poco all’altezza massima del boccascena. Il Teatro alla tedesca, dove in sala è avvenuta l’abolizione dei palchi, ha in genere una buona visibilità; nel Teatro tradizionale all’italiana, dotato di palchi, la visibilità per un buon terzo è ridottissima, cioè nei posti laterali e nei loggioni.
La visibilità dal palcoscenico al direttore d’orchestra interessa tutti gli artisti, il coro in particolare. Il piano di palcoscenico inclinato del Teatro all’italiana, contrariamente a quello tedesco che è orizzontale, offre un po’ di visibilità in più; i mezzi tecnici a disposizione e i diversi declivi realizzabili con i ponti mobili del palcoscenico aiutano a risolvere, almeno in parte, questo problema, presente in tutti gli spettacoli con il coro.
Il piano di palcoscenico, con i mezzi tecnici di cui è dotato, è un altro componente essenziale per la realizzazione della messa in scena. Il profilo longitudinale del palcoscenico all’italiana ha una pendenza dal 3 al 5 %. Contribuisce a una migliore visibilità e caratterizza il palcoscenico “prospettico” del nostro Teatro. Quello del Teatro tedesco è orizzontale per ragioni di praticità (manovrabilità dei carri e delle costruzioni scenografiche) e, unito al girevole e alle piattaforme mobili, è uno degli elementi che caratterizzano il palcoscenico considerato “moderno”.
Fra le innovazioni moderne, è da ritenere ancora valido il palcoscenico con i ponti mobili, sezionabili, con il piano a inclinazioni regolabili, pannelli periscopici, portarive, possibilità di botole centrali e sottopalco praticabile. Molto meno utili, poiché con il loro ingombro creano problemi, sono gli impianti fissi con le piattaforme mobili e il girevole, tra l’altro oggi facilmente realizzabili secondo le esigenze dei singoli spettacoli.
Spesso costituisce un problema per la messinscena, in particolare nei Teatri italiani, la mancanza di spazio ai due lati e dietro il palcoscenico. Occorrono spazi liberi e simmetrici che permettano i movimenti di scena. Il Teatro alla Scala è in questo senso un esempio classico di difficoltà e per risolvere – provvisoriamente e parzialmente – il problema ho dovuto trasformare in diverse occasioni il palcoscenico e la sala della Piccola Scala, nonché parte del portico di via Filodrammatici, opportunamente chiuso, in un deposito di scene.
Altro elemento della macchina teatrale di fondamentale importanza è la soffitta e forse oggi, con la totale meccanizzazione dei tiri con stangoni fissi, è il più condizionante. I tiri meccanizzati hanno certamente contribuito ad alleggerire e rendere più agevoli i cambiamenti di scena, ma hanno ridotto le risorse della soffitta. I tiri a stangone fisso riducono l’altezza della soffitta e limitano l’utilizzazione solo parallelamente al prospetto scenico. Inoltre gli impianti elettrici ingombranti che hanno invaso la soffìtta limitano e a volte negano lo spazio e l’uso dei tiri lungo l’asse del Teatro o secondo linee oblique; l’utilizzazione è possibile solo lateralmente, oltre le attrezzature elettriche. La soffitta crea problemi alla messa in scena, se la sua altezza non misura almeno tre volte quella del quadro scenico; deve avere tiri a mano liberi e contrappesati, oltre ai tiri meccanici con regolazioni per la velocità; inoltre occorre avere la possibilità di regolare la lunghezza degli stangoni.
Gli impianti per l’illuminazione, le attrezzature e i dispositivi elettrici creano difficoltà se ingombranti e inamovibili. Oggi in molti Teatri si stanno sostituendo le vecchie apparecchiature con altre nuove, più potenti e poco ingombranti, che possono ridurre sensibilmente le difficoltà.
Altri problemi riguardano la messa in scena, e sono l’efficienza e la qualità dei laboratori di realizzazione delle scene e dei costumi, l’organizzazione della sala prove e le prove in palcoscenico con tutti i servizi annessi. Ma penso che i problemi strettamente legati all’architettura e alla macchina teatrale abbiano un interesse preminente.
Costruire un Teatro d’opera oggi significa utilizzare ancora il vecchio schema del Teatro tradizionale, sia perché è il più diffuso in Europa., sia perché ad esso è connaturata gran parte del repertorio classico e contemporaneo. Gli spettacoli e le messinscene che esigono il riquadro del prospetto scenico giustificano ampiamente l’utilizzazione di questo schema. Tuttavia non si possono ignorare le esperienze maturate in senso al Teatro d’opera negli ultimi anni. Esperienze che hanno certo confermato la validità del vecchio schema: ma si devono considerare anche i problemi e le difficoltà che si sono venuti a creare col tramonto di certe mode e con l’affermarsi dell’innovazione.
Le nuove richieste registiche e scenografiche tengono conto delle esperienze del Teatro tradizionale e di quanto si è ritenuto valido nelle moderne innovazioni tecniche del recente passato, ma considerano lo spazio scenico tradizionale non solo come un luogo da arredare, ma come un volume da organizzare. Perciò occorre che lo strumento Teatro diventi flessibile, che la meccanizzazione tenga conto delle esigenze attuali e lasci al regista e allo scenografo maggior libertà nello svolgimento e nella realizzazione delle loro intenzioni artistiche. [… ]»
I pensieri espressi in quella conferenza provengono da una riflessione maturata dagli anni Sessanta, verso il termine dei quali si colloca il progetto di Luciano Damiani e Umberto Nordio per il Teatro Nuovo di Trieste.
Presentando quel loro progetto, gli autori analizzano le due forme del teatro «all’italiana» e del teatro «alla tedesca» (ispirato alla concezione di sito teatrale elaborata da Wagner), le fattispecie contemporanee anche dal punto di vista dell’attrezzatura dello spazio scenico. Esprimono la loro concezione di un «teatro flessibile».
Analisi storico – critica del teatro all’italiana secondo Damiani.
Dal Tardo ‘600 la forma più diffusa in Europa è il “teatro all’italiana”, dove il diaframma boccascena – sipario divide il pubblico dallo spettacolo e la scena non si fonde con lo spettatore come nel teatro classico o in quello medioevale, elisabettiano, o giapponese: lo spettatore assiste, non partecipa.
Di esso ci interessano soprattutto le crisi evolutive: il rapporto palcoscenico – platea, e con esso il rapporto attore – spettatore; nonché i vari aspetti modificatori sociali, artistici, estetici e politici.
Lo schema architettonico di questo teatro tradizionale comprende: palcoscenico rialzato, prospetto scenico, boccascena – sipario e sala con palchi per “privilegiati”.
Le prime critiche mosse al teatro tradizionale s’accentrano proprio sul criterio di distribuzione dei posti, l’architettura della sala, l’arredamento e la luce, come elementi che condizionano il pubblico ad un clima mondano, lo distraggono e ne riducono la partecipazione “attiva, intellettuale” allo spettacolo.
Nel 1876 scoppia la prima crisi: le idee unitarie di Richard Wagner esigono che il pubblico partecipi allo spettacolo e che il luogo scenico sia a diretto contatto con lo spettatore. Gli architetti Semper e Brükwald realizzano il teatro di Bayreuth.
Viene modificata la struttura architettonica della sala secondo criteri sociali, ideologici ed estetici. Si tolgono i palchi, l’orchestra viene sottratta alla vista dello spettatore il palcoscenico viene portato a mensola sopra il “golfo mistico”, a contatto diretto con il pubblico; le quinte (che appartenevano al palcoscenico) sono spostate in sala come elementi architettonici delle pareti laterali e del proscenio, nell’intento di creare un’unitarietà ideale tra sala e luogo scenico.
Tutto ciò risulta con chiarezza se nella pianta del teatro, seguendo la linea prospettica delle quinte di sala, tracciamo la loro continuazione sul palcoscenico: ne risulterà che la platea si inserisce nello schema della scena prospettica producendo (almeno graficamente) una fusione tra palcoscenico e sala. Se poi tracciamo nella sezione longitudinale la continuazione delle quinte sul palcoscenico, ci accorgeremo che la natura stessa del palcoscenico rialzato determina una frattura e non permette di completare l’operazione della fusione sala – palcoscenico, ma lascia ancora insoluto (almeno in parte) il problema.
L’operazione è comunque interessante: la sala ha subito una notevole trasformazione architettonica, che non tarderà a dare frutti. Inoltre il fatto di lasciare al buio la sala durante lo spettacolo crea un’atmosfera mistica ed austera nella quale il pubblico si immedesima e partecipa. A questo risultato danno un notevole contributo la scoperta e la successiva utilizzazione della luce elettrica e i nuovi criteri costruttivi architettonici.
La crisi aperta da Wagner nel teatro tradizionale dà origine ad un nuovo tipo di teatro, detto « alla tedesca ».
Sulla base delle nuove esperienze vengono costruiti numerosi Teatri, tra i più importanti il Prinsregententheater di Monaco di Baviera, il Teatro Municipale di Elberfe’d, il Covent Garden di Londra, l’Opera House di Chicago, ecc.
Una ventata di rinnovamento tocca anche i teatri italiani: vengono portate modifiche alle sale. viene scavata la fossa dell’orchestra, si fa buio in sala durante lo spettacolo, mentre si modernizzano gli impianti tecnici di palcoscenico con l’uso dell’elettricità sia come forza motrice sia come energia illuminante.
Gli elementi che compongono lo schema architettoníco del teatro « alla tedesca » sono: palcoscenico rialzato, prospetto scenico – boccascena – sipario e sala democratizzata con l’abolizione dei palchi.
Le idee di Wagner vengono sviluppate nell’epoca contemporanea. Walter Gropius, Salomonson, Norman Bel Geddes, ecc. cercano di eliminare il diaframma tra sala e palcoscenico, di rompere l’unitarietà della scena tradizionale e di passare alla pluralità dei tipi di rappresentazione.
Dal 1925 al 1938 vengono fatti numerosi progetti in questo senso; ma purtroppo poco è stato realizzato e i risultati pratici non sono stati tali da far ritenere collaudato un nuovo schema atto a sostituire il vecchio.
Pertanto i teatri costruiti dopo la seconda guerra mondiale hanno conservato gli schemi tradizionali, tranne poche eccezioni, teatri «in pista » e certi teatri sperimentali dove sono state create strutture movibili di sala e palcoscenico ispirate al « Total Theater » di Gropius (pluralità dei tipi di rappresentazione).
In generale le strutture dei teatri moderni tendono, con soluzioni di compromesso, alla coesistenza tra spettacoli diversi nello stesso luogo scenico, ignorando il problema del diaframma prospetto scenico – palcoscenico rialzato.
Proprio per questa aspirazione alla coesistenza, si sviluppano le strutture tecniche e, per consentire le varie realizzazioni artistiche, diventano sempre più complessi e più meccanizzati i mezzi tecnici di palcoscenico. Si sviluppano anche gli impianti elettrici e i dispositivi fissi, o in parte fissi o mobili, invadono il palcoscenico, mentre la soffitta è resa in parte inutilizzabile. (Per ragioni illuminotecniche espressionistiche in gran parte dei teatri tedeschi le pareti del palcoscenico vengono tinteggiate di nero.
Il teatro della nostra epoca è caratterizzato, soprattutto fuori d’Italia, dalla presenza di enormi mezzi tecnici che da una parte hanno contribuito ad alleggerire e rendere più agevoli i cambiamenti di scena, dall’altra hanno reso rigido lo schema tecnico del palcoscenico. Esempio: le soffitte dei teatri supermeccanizzati (con attrezzature elettriche tipo bilancione di panorama, bilance, passerelle volanti, ecc., poste generalmente ad un metro e mezzo o due metri l’una dall’altra) riducono notevolmente lo spazio a disposizione dei tiri e anche l’altezza della soffitta stessa, utilizzabile nella sua totalità solo parallelamente al prospetto scenico, mentre è estremamente limitata lungo l’asse del teatro o secondo linee oblique…
E’ possibile utilizzarle solo lateralmente, oltre le attrezzature elettriche!
I tiri meccanizzati con stangoni fissi riducono ulteriormente le già scarse risorse della soffitta e condizionano sempre di più la libera realizzazione degli spettacoli.
Nei teatri italiani, meno macchinosi, si riconosce (in particolare negli impianti tecnici di soffitta) una maggiore flessibilità, dovuta anche al minor numero (alla scarsità) degli impianti illuminotecnici (tranne in alcuni grandi teatri) e al loro minore ingombro. Le pareti del palcoscenico non subiscono il trattamento dei teatri tedeschi (tinteggiature di nero) ma ci si limita a chiudere o schermare le poche finestre e a usare la luce elettrica.
I due tipi di teatro tradizionale, all’italiana e alla tedesca, con lo schema base palcoscenico rialzato – prospetto scenico si possono definire “teatri a struttura unitaria” o meglio “teatri a struttura chiusa”, siano essi per la lirica, per la prosa o per spettacoli d’altro genere.
I teatri di prosa, il cui schema deriva da quello dei teatri per spettacoli lirici, hanno dimensioni inferiori, sia per la presenza di complessi (attori, dirigenti, tecnici) meno numerosi, sia perché i palcoscenici dispongono di mezzi tecnici più limitati. La sala di un teatro di prosa deve essere contenuta entro limiti difficilmente superabili, determinati dalla fisicità dell’attore: la sua voce e le sue espressioni devono essere chiaramente percepibili in ogni punto della sala.
La ragione maggiore della frattura del prospetto scenico nelle strutture architettoniche del teatro tradizionale è nel fatto che il palcoscenico è separato dalla sala da un muro che prende tutta l’ampiezza nella parte bassa del boccascena e la cui altezza è limitata
dal piano dello stesso palcoscenico.
Questo muro si trova in tutti i teatri di tipo tradizionale, e nell’epoca moderna, dopo una lunga storia di teatri andati a fuoco, è considerato, insieme con il sipario di ferro, uno degli elementi indispensabili alla sicurezza del teatro. (La presenza e la funzione di questo muro, si nota soprattutto nei teatri di recente costruzione, specialmente in quelli dove il proscenio mobile si abbassa per lasciare posto alla fossa dell’orchestra e contemporaneamente i piani mobili del palcoscenico scendono in sottopalco e lasciano chiaramente vedere questo e elemento, che qualche volta, in rapporto alla mobilità che lo circonda, appare in tutta la sua assurdità.)
Questo muro è alla base del diaframma che separa la sala dal luogo scenico ed è parte del prospetto; su di esso appoggiano il sipario di sicurezza e il piano di palcoscenico.
L’altezza del palcoscenico condiziona l’altezza del suddetto « muro », ma anche i profili longitudinali del pavimento della sala e dello stesso palcoscenico, legati tra loro dalla regola di visibilità.
Il profilo longitudinale del palcoscenico tradizionale « all’italiana » ha una pendenza dal tre al cinque per cento ed è uno degli elementi che contribuiscono a ottenere una buona visibilità. I piani inclinati, o declivi, caratterizzano oggi il palcoscenico prospettico del teatro « all’italiana » mentre il profilo longitudinale del palcoscenico tradizionale « alla tedesca » è in piano ( per ragioni di praticità, manovrabilità dei carri delle costruzioni scenografiche ecc.) ed è uno degli elementi che caratterizzano il palcoscenico moderno.
Il profilo longitudinale del palcoscenico, prospettico o moderno, determina insieme con l’altezza del proscenio, il profilo longitudinale della platea e viceversa. Più il piano di palcoscenico è basso rispetto al pavimento della platea, tanto più aumenterà l’inclinazione di quest’ultimo.
In questi ultimi anni, il teatro italiano ha teso (alla ricerca di una diversa partecipazione del pubblico allo spettacolo) a eliminare la frattura fra sala e scena, ecc. La scenografia cerca di rompere la difesa del prospetto scenico, di aggredire l’architettura e di portare l’azione in seno al pubblico per ottenere una partecipazione intellettuale attiva; per esempio, il boccascena diventa parte integrante della scenografia, oppure la scenografia tende a scavalcarlo, a passare sul proscenio e a scendere sul piano di platea, o a includere in parte o totalmente la sala… Rimane sempre esclusa da questi tentativi di “rottura” la scena sopraelevata; anche quando si tenta di ridurre l’ostacolo del palcoscenico rialzato con elementi scenici praticabili, la struttura architettonica non permette nessuna modifica sostanziale. La scena sopraelevata rimane uno dei problemi del teatro contemporaneo.
Si sente la necessità, non tanto di riprendere la polemica novecentista sul rapporto tra pubblico e azione nel concetto del « totale », ma di una « operazione » sullo schema del teatro tradizionale, che permetta una verifica del rapporto platea – palcoscenico e attore – spettatore, con la possibilità di una libera scelta.
Costruire un teatro oggi significa utilizzare ancora il vecchio schema, sia perché è il più diffuso in Italia ed in Europa, sia perché ad esso è connaturata grande parte del patrimonio classico e contemporaneo italiano ed europeo. Esso è inoltre giustificato dalla natura degli spettacoli e delle messinscene che esigono il riquadro del prospetto scenico. Tuttavia, se non si possono ignorare le esperienze teatrali avvenute (in seno al teatro tradizionale) negli ultimi anni, esperienze che hanno qualche volta confermato la validità del vecchio schema (come nel caso della proposta brechtiana – sala, del “Berliner Ensemble” a schema tradizionale e spettacolo epico – esempio di unificazione dialettica), ma si devono considerare anche le proposte di rottura, di insofferenza per la scena sopraelevata, per il boccascena ed il sipario.
“Con la Royal Shakespeare Company – ha spiegato Brook – abbiamo fatto delle prove di gesti, di voci, un po’ come il Living Theatre. Ne ho dedotto che il problema meno risolto a teatro è quello del luogo, vale a dire il contatto tra attori e pubblico.
TEATRO DI TRIESTE
CRITERI ARTISTICI E TECNICI
Per la progettazione degli impianti tecnici di palcoscenico e sala si è consapevolmente rinunciato alla formula applicata ‘negli ultimi anni nei nuovi teatri: rapporto medio tra capienza, visibilità e ascolto per tutti i tipi di spettacolo.
In considerazione delle diverse e “attuali” esigenze del teatro di prosa sono previsti, partendo da criteri artistici e tecnici, alcuni elementi modificatori della sala e del palcoscenico.
CRITERI ARTISTICI
I criteri artistici tendono a valorizzare il meglio del teatro classico italiano e del teatro espressionista europeo e tengono conto delle crisi evolutive del teatro contemporaneo, delle proposte e delle verifiche e avvenute in Italia ed in Europa negli ultimi venti anni.
Propongono:
Di utilizzare la sala nelle sue dimensioni totali, con impianti predisposti per l’amplificazione audiovisiva , e nel contempo ridurre la capienza della sala entro i limiti dettati dalla misura fisica dell’attore (chiaro ascolto e visibilità perfetta in ogni punto della platea).
Di considerare la platea il solo elemento nello schema del teatro tradizionale, significativo nel rapporto sala – palcoscenico in tutti i suoi aspetti, artistici, estetici tecnici e sociali.
Di abolire la scena sopraelevata (in quanto elemento inamovibile) nonché gli elementi tradizionali del boccascena, il sipario come parte integrante dell’arredamento della sala e con esso panni d’Arlecchino, mantovane, cornici, ecc.
Di predisporre strumenti che permettano una libera scelta tra i diversi tipi di sipario, in sede di realizzazione drammatica; come pure la libera scelta del profilo longitudinale del piano di palcoscenico nelle versioni « prospettica italiana » e « palcoscenico moderno », la disponibilità di altezze diverse tra il piano di palcoscenico ed il piano di platea e l’unificazione dei due piani in un unico elemento.
Di risolvere di conseguenza il problema della visibilità (entro i nuovi rapporti di altezza tra platea e palcoscenico) considerato non solo nel suo aspetto tecnico, ma anche in quello artistico ed estetico.
Di utilizzare elementi tecnici del palcoscenico in sala. Di «prolungarne» la «estensione» o «estenderne» in sala una parte: quelli che per la loro funzione e la loro storia nel teatro, nonché per le loro caratteristiche estetiche, contribuiscono al tentativo di eliminare la frattura del prospetto scenico e di portare lo spettacolo in seno al pubblico.
Di sostituire le luci in sala – lampadari, appliques, luci fluorescenti al neon, a vista ecc. – con impianti che evochino le luci tradizionali del palcoscenico: luci della «bilancia», della «ribalta», lampade colorate e no (regolabili nell’intensità luminosa e nella posizione).
Di fare del palcoscenico un luogo che, per 1’equilibrio delle sue dimensioni in contrapposizione alle misure dell’uomo, le pareti chiare, la distribuzione e composizione degli strumenti, i colori vivaci degli impianti tecnici, le strutture di acciaio, i legni, oltre che essere uno «strumento moderno», possa, anche privo di elementi scenografici, lasciare, come sola protagonista, l’azione drammatica.
Di sostituire, nella misura più ampia consentita, le strutture unitarie degli impianti, illuminotecnici, sonori, televisivi ecc., con impianti – strumenti di spettacolo a struttura flessibile e rinnovabili nelle varie fasi dei loro reciproci rapporti.
Unico diaframma tra sala e palcoscenico, il sipario di sicurezza, il quale non deve avere 1’aspetto terribile e contrastante che assume in un teatro tradizionale, ma deve essere parte integrante di un unico strumento armonico, con una veste che dichiari la sua funzione (non dipinto o decorato), per esempio: metallo lucido come uno specchio (in cui la sala si potrebbe riflettere). Propongono quindi per la sala un ambiente «piacevole» e «raccolto» (per incontri culturali) «stimolante» e «variabile» e non mondano né austero.
Infine i criteri artistici tendono, entro lo schema del teatro tradi zionale, a una verifica del rapporto sala – palcoscenico, attore – spettatore, che sia la più ampia possibile per la libertà delle scelte.
CRITERI TECNICI
I criteri tecnici tengono conto delle esperienze del teatro tradizionale e di quanto si è ritenuto valido nelle moderne innovazioni del teatro europeo.
Tendono a una coesistenza delle due esperienze e propongono strutture scenotecniche, impianti di palcoscenico e sala, che per la loro natura, per la nuova collocazione di una parte di esse e per la loro particolare variabilità, consentano la realizzazione di uno strumento di teatro flessibile, che permetta di passare dal teatro tradizionale a “struttura chiusa” a un teatro tradizionale a “struttura aperta”.
Propongono:
La riduzione della sala mediante una parete mobile (di materiale idoneo all’acustica) in un rapporto 7-11 tra ampiezza – boccascena e profondità sala.
La riduzione dell’apertura del prospetto scenico (con elementi variabili e asportabili) dal rapporto 7-5 a un rapporto 5-3 (la riduzione massima consentita dalla visibilità «in sede tradizionale»).
Un palcoscenico in piano, inclinabile, con la possibilità dell’utilizzazione di tre declivi, 4 %, 7%, 11 %., alzabili e abbassabili a quote diverse rispetto al piano di platea, in un rapporto di 1000.
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L’abolizione del muro che separa il palcoscenico dalla sala (presente in tutti i teatri tradizionali nella parte bassa del prospetto) e la sua sostituzione con una parte del sipario di sicurezza costituito di due elementi.
Il sipario di sicurezza, in un rapporto totale tra base e altezza di 9 a 10, dove la parte superiore e in un rapporto 9-6 e 1’inferiore 9-4.
L’eliminazione del palcoscenico rialzato con l’abbassamento del sipario di sicurezza inferiore, in quanto parte integrante del piano di palcoscenico mobile al livello del piano di platea.
Una platea mobile, con la parte posteriore alzabile e la parte anteriore ferma, in un rapporto tra profondità sala e innalzamento di 11 a 3, allo scopo di ottenere, correggendo 1’inclinazione della platea, piena «visibilità» rispetto alle diverse quote di palcoscenico, sia esso in piano o con i vari declivi, senza o con proscenio.
L’apertura del prospetto scenico non più in un rapporto tra base e altezza di 7 a 5 (come nella soluzione tradizionale) ma di 7 a 7, con la parte in più, in un rapporto di 7 a 2, appartenente al sottopalco.
La sostituzione di tutte le costruzioni tradizionali a gabbia dei ponti mobili del palcoscenico a due piani, con strutture nuove, che consentano l’utilizzazione dello spazio (tra i due piani) per l’azione scenica e l’allestimento scenotecnico.
La disposizione simmetrica di tutti gli elementi che sostengono il piano di palcoscenico tenendo presente la necessità dello spazio libero nella parte centrale (esempio: una botola non sarà a sinistra o a destra della linea mediana del palcoscenico, ma al centro, a differenza dei montanti di sostegno dei ponti ecc.)
Tiri in soffitta in tre versioni; alternando tiri semplici a mano e tiri contrappesati a mano, inframmezzati ogni due metri da un tiro a motore elettrico. Inoltre la continuazione dei tiri semplici e a stangone nel retropalco, in avanscena e nel soffitto
della sala, suddivisi come sopra, e 1’utilizzazione di una parte di essi per l’illuminazione della sala.
Gli elementi che compongono il palcoscenico nei seguenti rapporti: piano di palcoscenico, tra ampiezza e profondità, di 23 a 11; parte mobile ponti e sipario di ferro, di 16 a 11; fossa dell’orchestra di 11 a 3; retropalco e prolungamento della scena di 21 a 8; ampiezza del palcoscenico utile e del boccascena di 23 a 9 e altezza della soffitta e del boccascena di 20 a 6.
Al fine di ottenere una struttura di teatro tradizionale a sistema unitario e insieme un teatro flessibile, che lasci maggiore libertà al regista e allo scenografo nello svolgimento e nella realizzazione delle loro intenzioni artistiche, propongono e ritengono assolutamente indispensabili: la suddivisione del palcoscenico in elementi indipendenti l’uno dall’altro, il suo abbassamento e la sua altezza rispetto al piano di platea, i piani inclinabili per i diversi declivi, il sipario di sicurezza in due elementi, il piano dell’orchestra mobile che diventa proscenio, i tiri per la quasi totalità in sala e la
distribuzione e meccanizzazione degli impianti tecnici nella mi sura assolutamente necessaria a garantire uno svolgimento rapido e sicuro dello spettacolo.
I criteri tecnici tengono conto, per l’attività e la funzionalità di tutti gli impianti di palcoscenico, dell’attuale situazione del teatro italiano, sia dei «Teatro Stabili» sia delle « Compagnie di giro », del personale tecnico a disposizione e dei compiti ad esso affidati; in particolare, per il funzionamento delle strutture meccaniche del palcoscenico, tengono conto della necessità di contenere il numero del personale nei limiti delle passate stagioni teatrali.
IMPIANTI ILLUMINOTECNICI DI SCENA
Gli impianti per 1’illuminazione sono costituiti da attrezzature e dispositivi, predisposti secondo criteri che tengono conto delle esperienze del teatro italiano ed europeo.
Dopo la comparsa della luce elettrica sul palcoscenico, trascorsa una prima fase in cui illuminare significava soltanto imitare il giorno, la notte, 1’alba, il tramonto, ecc., si è avuta una serie di esperienze, collegate alle varie evoluzioni della drammaturgia.
Abbandonate le scene dipinte, l’illuminazione, che era solo un mezzo per evidenziare la pittura e il colore, passa a dare vita, volume e plasticità alle nuove scenografie (Appia), e il risultato determinato dall’ombra propria e dall’ombra portata del corpo dell’attore o di un volume scenografico comincia ad essere considerato elemento determinante per ottenere una particolare «espressività». La scena viene illuminata da una luce diffusa, regolata con filtri di vario tipo per permettere l’esaltazione, con ombre e luci, volume e plasticità, degli elementi di maggiore interesse dello spettacolo.
Nella scena post – naturalistica (Gordon Craig) le luci attenuando i contrasti, fondono attore e scena, o meglio costume e scena, e aiutano a formare uno spazio infinito.
I nuovi mezzi tecnici a disposizione (bilance, ribalta) e l’illuminazione dell’avanscena aumentano la possibilità di attuare l’illusione dello spazio infinito e danno anche inizio alla conquista dell’avanscena stesso.
Lo spettacolo è portato .in avanti, e non più in profondità, mentre l’utilizzazione dell’avanscena porta alla regolazione della ribalta.
Vengono collocati dei proiettori in fondo alla sala allo scopo di ottenere (Reinhardt) «ancora» una luce diffusa in scena e di intervenire, con fasci di luce laterali in palcoscenico, a illuminare gli attori staccandoli dall’ambiente nel quale sono immersi.
L’illuminazione viene utilizzata per mettere in evidenza i valori plastici scenografici e i materiali (Erwin Piscator); ha inizio l’impiego su vasta scala delle proiezioni, fisse e in movimento, su schermi trasparenti ecc.
I corpi illuminati diventano, nella scena nuda (Mejerchol’d) elementi uguali alle costruzioni scenografiche a vista: «demistificazione».
Poi l’illuminazione a luce pittorica (impressionistica, Kvapil) morbida, colorata, alla quale fa riscontro una violenta illuminazione, molto colorata, che segue l’azione con rapidi interventi espressionistici (Hilar).
Illuminazione a luce diffusa, sia per l’attore che recita sia per il pubblico. Fonti di luce visibili per togliere al pubblico «una grande parte dell’illusione di assistere ad azioni naturali e non create per l’azione teatrale» (Brecht).
Illuminazione a luce – atmosfera oggettiva, con il tentativo di cancellare, sia sugli elementi di scena sia sull’attore, ombre proprie ed ombre portate, al fine di ottenere un’illuminazione bidimensionale senza la percezione delle fonti.
SOLUZIONI PARTICOLARI
Il palcoscenico e a base rettangolare, prende tutta la superficie del contenitore in cemento armato e la sua parte centrale mobile è poco più larga dell’apertura del prospetto scenico; è suddiviso in quattro ponti con due piani in legno di cui uno appartiene al piano del sottopalco e l’altro al pavimento del palcoscenico. I movimenti
dei ponti sono di tipo meccanico, con motori elettrici con contrappesi.
La distanza verticale tra i due piani, prevista per l’utilizzazione in sede di azione scenica, è determinata dai montanti situati nella parte posteriore dei ponti che collegano la costruzione di base con il piano superiore e creano uno spazio utile pressappoco uguale alla totalità della superficie dei ponti. Il movimento di abbassamento è tale che i piani superiori scendono in sottopalco a livello del primo ballatoio e l’alzamento è tale che i piani inferiori si trovano a livello del pavimento di palcoscenico fisso.
I primi tre ponti hanno il piano superiore inclinabile con movimenti meccanici, eseguiti a mano nel sottopalco mobile. I piani si alzano nella parte posteriore, azionando i dispositivi meccanici a gradazioni diverse e, insieme con l’alzamento dei ponti, creano un unico piano inclinato (declivio) largo quando il palcoscenico mobile e profondo quanto i tre ponti; hanno tre diverse pendenze del 3,6%, 7 %, 11 %.
I quattro ponti sono utilizzabili anche per concerti, ponendo a livelli diversi i singoli piani per l’orchestra, i cori ecc., e sono utili negli spettacoli di prosa per gli abbassamenti ed alzamenti vari, i tipi di piani inclinati (declivi) e l’utilizzazione del sottopalco mobile. Inoltre il piano in legno dei primi tre ponti, composto di elementi asportabili, permette l’apertura di botole dalla misura 1 x 1 in 9 gruppi di tre elementi, per un totale di 27 botole, nove delle quali poste sull’asse del teatro, e la loro utilizzazione per apparizioni e sparizioni di elementi scenografici.
I movimenti dei ponti, eseguiti meccanicamente con argani elettrici e contrappesi, sono previsti a corsa regolare, silenziosi, a velocità diverse e con la possibilità di bloccaggio (senza la percezione visiva dell’operazione) e la suddivisione della corsa in moduli che permettano sia l’inclinazione del piano totale del palcoscenico mobile nei vari declivi, sia la formazione dei vari piani alle altezze normali dei praticabili in uso nei palcoscenici italiani e stranieri.
I tiri a stangone della soffitta in sala sono appesi a cinque cavi di acciaio ed azionati da argani a mano con fermo di sicurezza.
Gli stangoni sono lunghi quasi quanto la sala e ne seguono l’andamento curvilineo laterale.
Le corde dei singoli tiri sono tutte utilizzabili sia da sinistra sia da destra. In sostituzione del moschettone normale con il ciondolo è prevista una legatura a piombo speciale. Inoltre nel soffitto della sala proseguono tiri a stangone, con relativi argani, e file di tiri semplici.
I tiri sono proposti per una continuazione in sala degli elementi scenografici del palcoscenico (rispettando le esigenze scenotecniche moderne), sia per l’utilizzazione degli impianti sia per l’illuminazione della sala.
L’apertura del prospetto scenico e chiusa dal sipario di sicurezza.
Costituito di due elementi, esso e suddiviso orizzontalmente in due parti di diversa altezza ed e azionato da motori elettrici e contrappesi. La parte inferiore del sipario di sicurezza è nel sottopalco e fa parte del palcoscenico mobile con la parte dello spessore rivestito in legno.
E’ l’elemento fondamentale (con la gradazione dei movimenti uguali ai ponti mobili di palcoscenico ed ai ponti della fossa dell’orchestra) per ottenere l’abbassamento completo del piano di palcoscenico al livello della platea. Insieme con la parte alta del sipario di ferro è l’elemento richiesto dalle speciali norme di pubblica sicurezza allo scopo di dividere fuoco e fumo tra palcoscenico e platea.
Entrambi i sipari sono costruzioni rigide in acciaio, con entrambi i lati rivestiti in lamiera e con le intelaiature calcolate per una sovrapressione da un unico lato. Sono ricoperti nella parte interna (in palcoscenico) da un cartone d’amianto contro il calore e hanno una protezione in rete metallica contro i danni meccanici.
La parte inferiore del sipario di palcoscenico è rivestita di materiale compatto non infiammabile ed elastico e appoggia sulla parte in legno del sipario inferiore.
Il sipario superiore nei movimenti normali appoggia su quello inferiore, a qualsiasi altezza si trovi quest’ultimo, con un interruttore automatico, installato nell’argano meccanico del sipario superiore, che entra in funzione in relazione a tutte le posizioni del sipario inferiore. Nelle chiusure di emergenza entrambi i sipari si muovono senza impulso elettrico o meccanico, ma esclusivamente per il loro peso specifico.
Il sipario inferiore scende rapidamente da qualsiasi posizione si trovi alla velocità d’arresto, e il sipario superiore si abbassa e chiude alla velocità accelerata richiesta per «l’emergenza».
La corsa d’alzamento del sipario inferiore è di poco superiore alla corsa d’alzamento massima dei piani di palcoscenico mobile e l’abbassamento e alla quota di platea (posizione di arresto). La corsa totale del sipario superiore incomincia al livello del piano di platea ed arriva alla posizione più alta oltre l’apertura del prospetto scenico. Le velocità normali sono per entrambi i sipari commutabili e regolabili senza scatti dalla posizione ferma fino a una velocità accelerata utile.
Sono previsti, nel sipario inferiore, innesti sulla parte frontale della platea che permettano l’applicazione di pannelli con decorazioni o una piccola ribalta a mensola, con sporgenze limitate e larga per tutta l’apertura del prospetto, che consenta l’utilizzazione della fossa dell’orchestra e del sipario tradizionale.
Verso la platea, davanti al prospetto scenico, si trova la fossa dell’orchestra, composta di ponti mobili.
I loro movimenti, sia nella gradazione delle varie posizioni sia nella velocità, sono del tipo e della qualità dei ponti di palcoscenico e del sipario di sicurezza inferiore. I piani mobili dell’orchestra sono indipendenti l’uno dall’altro e si possono predisporre tra loro a quote diverse. La posizione più bassa è quasi al livello del primo ballatoio del sottopalco e la più alta corrisponde all’altezza massima di un proscenio tradizionale.
La parte anteriore della platea, cioè il settore delimitato dal corridoio trasversale che unisce le due scale d’accesso del pubblico, è costituita da una costruzione, indipendente dalle strutture mu rarie, dall’inclinazione regolabile per mezzo di movimenti meccanici ed idraulici comandati elettricamente. Il punto di contatto con la «linea» della fossa dell’orchestra rimane fermo come cerniera e la parte posteriore si alza (quanto lo consente la struttura architettonica della sala) permettendo la correzione della visibilità quando il palcoscenico mobile scende a quote diverse al livello del piano di platea. Il movimento degli elevatori è bloccabile con precisione in qualsiasi posizione.
Nel I987-’88 Luciano Damiani idea e realizza, negli ambienti stessi di quel teatro, «una mostra che si prefigge di far conoscere il nuovo spazio del Teatro di Documenti», anch’esso ideato e realizzato da Damiani, a Roma nei magazzini di Monte Testaccio.
Il testo con il quale Damiani enuncia la struttura della mostra è anche in parte il manifesto della sua concezione della scenografia e della sua poetica di scenografo. La sua idea del «Nuovo Teatro» è quella di strutturare e riaggregare gli spazi funzionali – siti del pubblico, della scena, delle attrezzature, dei vani di servizio. . . – secondo le opportunità e necessità tecniche delle diverse funzioni. E’ in ciò il rifiuto della filogenesi del teatro, che ha specificato, ricavato e costruito gli spazi che via via si sono resi opportuni e necessari a partire dalla sala – il sito per il pubblico – e intorno a questa in tutte le direzioni.
La scenizzazione intransigente della forma teatro secondo una sua teoria dello sguardo è oggi il punto di arrivo del pensiero di Damiani. Ne derivano logicamente conseguenze diverse, per esempio per quanto riguarda i rapporti fra quadro visivo e mobilità del pubblico, la drammaturgia delle luci e del suoni, la distribuzione dello spettacolo nel tempo e negli spazi. Fra le altre implicazioni, è necessario almeno accennare alla revisione della funzione e del ruolo del pubblico e del regista. E con questo il percorso riflessivo e ideativo di Damiani, partito negli anni Sessanta dalla rivendicazione del ruolo dello scenografo – bozzettista, sembra approdato alla discussione del ruolo funzionale centrale del teatro del Novecento, cresciuto e sviluppatosi per tutto il secolo. E’ interessante notare che la discussione del ruolo del regista non muove dalle ragioni del testo, o degli attori, ma da quelle della scena. E’ questo un altro tratto di originalità del pensiero di Damiani.
«Allestire una mostra che si limiti a collezionare bozzetti e modelli di scenografie non mi ha mai interessato. Ho sempre sostenuto che il bozzetto di una scena, testimonianza di eventi già avvenuti ed esauriti, nasce in funzione di uno spazio che è altrove, e ad esso, alla sua dimensione lo spettatore deve fare riferimento, e immaginare di trovarsi a teatro. Mentre ha senso allestire una mostra di scenografia quando al visitatore è offerta la possibilità di sperimentare in concreto lo spazio della scena e non limitarsi alla semplice riproduzione che ne dà il bozzetto.
La mostra del Teatro di Documenti ha come intento di compensare queste carenze, proponendo in seconda istanza l’esposizione di disegni, progetti, bozzetti, a testimoniare la ricerca che data ormai da quarant’anni.
L’obiettivo della mostra è quello di far conoscere al visitatore il Nuovo Teatro e come sono state recuperate le condizioni di spazio della scena, di fronte alle quali mi sono trovato nell’arco del mio lavoro, e di sottoporre a una verifica i documenti di Teatro cui ho fatto ricorso per appropriarmi di quella pagina “bianca” ma non neutrale che è lo spazio scenico del Teatro di Documenti, dove non esistono oggetti “innocenti”.
Mi si poneva il problema della scelta per il racconto, così da tracciare una sorta di itinerario nel Teatro che il visitatore può percorrere, avvalendosi dei documenti come strumento – guida a una eventuale verifica immediata e concreta delle soluzioni sceniche proposte.
Il pubblico è stimolato a un’esperienza che lo vede non più relegato al ruolo di spettatore, ma impegnato anche nella dimensione operante dell’attore.
Gestita sulla base di questi criteri, la mostra si articola sostanzialmente come offerta di una via da esplorare, di una determinata ricerca di teatro, mediante veicoli di comunicazione non mutuati da altri campi di espressione artistica non specifici della dimensione teatrale.
Non intendo limitarmi a trattare il rapporto uomo – attore e scena, ma uomo – attore e teatro, teatro inteso come palcoscenico più sala. Più precisamente, si può parlare di “teatro nel teatro”, con il criterio dell’esperienza immediata, progressiva, applicata all’architettura del teatro che sono andato elaborando nel corso degli anni per approdare, nel Teatro di Documenti, al coinvolgimento totale della sala, del palcoscenico e anche degli spazi normalmente adibiti a camerini e depositi di attrezzeria. Arrivando così a uno schema di teatro dove il «sogno» si contrappone al «reale», il Teatro della Luce da una parte e il Teatro dell’Ombra dall’altra e al centro il palcoscenico e l’orchestra fusi in un unico “corpo”.
Il visitatore inizia il percorso avendo alla sinistra una bassa finestra ad arco dove vede una linea bianca sul pavimento correre all’infinito, come lo spartitraffico di un’autostrada. A destra un sipario bianco, trasparente; attraversandolo, il visitatore entra idealmente in palcoscenico (riferimento al progetto di Wagner che voleva il pubblico partecipe). E’ il luogo del sogno, con le nuvole sulle volte, a sinistra i gradoni che salgono verso il “fantastico superiore”, poi le botole che portano al “fantastico inferiore”. Sulla destra le tre porte del Teatro Classico Pagano e poi della Cristianità: Inferno, Purgatorio, Paradiso.
Con l’apertura del sipario la parte del pavimento tra la finestra ad arco e il sipario stesso si apre, e si alza uno specchio, rivelando così la fossa dell’orchestra e la sala sottostante, dove la fossa dell’orchestra appare come un palcoscenico all’italiana con macchinerie barocche.
Le volte con le nuvole e l’arco scenico con gli arredi chiari completano i due spazi che vogliono, in sintesi architettonica – scenografica, proporre al visitatore il Teatro all’Italiana e la crisi evolutiva determinata da Wagner.
Dal Teatro bianco dei sogni (o della Luce) lo spettatore, attraversando un velo nero passa nella Città, nel “reale”, dove sono i camerini degli attori, del trucco: il nuovo spazio teatrale che potrebbe appartenere, per via di “squarci” nei pavimenti, al “tranche de vie” ma anche al teatro espressionista tedesco e, poiché i camerini hanno forme di templi in marmo nero bronzi e specchi, anche a un luogo di meditazione sulla vita.
Il visitatore si trova fra macchine teatrali, oggetti, specchi, automobili, tavoli per conversare e consumare, in spazi intercomunicanti che attraverso grandi grate poste nel pavimento permettono di vedere in verticale gli ambienti e i camerini, che appaiono sovrapposti.
In questo spazio, agibile tridimensionalmente, il pubblico è stimolato a condurre un’esperienza che lo vede impegnato anche nella dimensione dell’attore.
Durante lo svolgimento della mostra i disegni, i progetti e i bozzetti esposti disegneranno una sorta di itinerario; ma avverranno anche interventi musicali, di prosa, poesia e canto, dislocati lungo il percorso della mostra che, con i materiali, le diverse possibilità operative, gli strumenti di racconto disponibili, tenteranno di risolvere gli interrogativi posti dal mezzo teatrale, dall’uomo di teatro da una parte e dal suo diretto fruitore, il pubblico, dall’altra. Interventi musicali, di prosa, poesia o canto, verranno eseguiti da artisti singoli o in gruppo, da noti professionisti e da allievi di Accademie.
Allo scopo di reperire i fondi necessari al completamente del Teatro di Documenti verranno offerti all’incanto bozzetti, documenti, riproduzioni appartenenti al mio Studio.»
Il documento, che porta la data 20 maggio 1988, ha una chiusa caratteristica di Damiani, come se egli volesse dire che, nell’indifferenza dei tempi in ben altri spettacoli incantati, il Teatro farà da sé, corpo separato della cultura e separato perché in esso ancora si combatte la lotta di Dioniso e Apollo contro Mercurio, il combattimento della sacralità con la venalità. Su altri palcoscenici, è finito da tempo.
(A cura di Giorgio Taborelli)